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Trattamenti non-antibiotici per infezioni urinarie: nuovi orizzonti

Urologia Redazione DottNet | 03/04/2018 11:24

Le infezioni del tratto urinario (UTI) si verificano quando si sviluppano batteri patogeni a livello dell'uretra e della vescica. Queste infezioni possono provocare complicanze tanto più serie quanto più a lungo non vengono trattate, proprio come og

Le infezioni del tratto urinario (UTI) si verificano quando si sviluppano batteri patogeni a livello dell'uretra e della vescica. Queste infezioni possono provocare complicanze tanto più serie quanto più a lungo non vengono trattate, proprio come ogni altro tipo di infezione.

E.coli, il principale enterobatterio, provoca l’80-85% delle UTI senza complicanze e il 50% di quelle nosocomiali. I ceppi di E.coli risiedono nell'intestino da cui vengono riversati nelle feci e possono colonizzare l'area periuretrale e successivamente ascendere attraverso l'uretra e le vie urinarie.

Le UTI causate da Escherichia coli, note come UPEC, colpiscono annualmente 150 milioni di persone. Nonostante l'efficacia della terapia antibiotica, il 30-50% dei pazienti presenta UTI ricorrenti. Le infezioni ricorrenti sono per lo più causate da reinfezione dello stesso patogeno.

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Inoltre, la crescente prevalenza di infezioni di batteri UPEC resistenti a trattamenti antibiotici, anche di ultima generazione, rende le UTI un classico esempio del problema della antibiotico-resistenza e sottolinea la necessità di nuovi approcci per trattare e prevenire la ricorrenza di infezioni batteriche.

 Il Prof. David A. Hunstad, del Dipartimento di Pediatria della Washington University in St. Louis, evidenzia l'importanza del lavoro di Spaulding Caitlin e colleghi, apparso su Nature nel giugno 2017.

E' uno studio di tipo sperimentale e si basa su modello murinico: ha dimostrato, con analisi filogenomiche e strutturali, che il ceppo UTEC con pilo (o fimbria, appendice filamentosa che presenta all'estremità molecole proteiche chiamte adesine o lectine) di tipo 1 è presente in campioni di UTI nelle donne in oltre il 90% . Questo tipo di pili mostra uno specifico legame alle cellule epiteliali presenti nelle cripte intestinali e innesca la colonizzazione intestinale. Il mannosio interferisce con la adesione microbica attraverso il legame coi pili di tipo 1 (FimH, proteina specializzata a legare il mannosio che ricopre la superficie vescicale).

Nello studio sono state valutate sostanze ad affinità per il mannosio come il D-mannosio e soprattutto l'analogo (mannoside) M4284 che ha una affinità di legame 100.000 volte superiore del naturale D-mannosio. L'M4284, assomigliando e mimando il mannosio, impedisce l'attecchimento batterico dell'area intestinale. E di conseguenza, una clearance batterica che contrasta la colonizzazione.

Secondo il Prof. Hunstad, questo studio si concentra su importanti concetti, quali identificazione dei fattori di virulenza primaria e problematica dell'antibiotico-resistenza. Infatti, lo studio dimostra che in modelli animali sostanze, come i mannosidi, che agiscono su target specifico, possono essere in grado di ridurre notevolmente il tasso di UTI ricorrenti, senza stravolgere gli equilibri della flora microbiota intestinale, come avviene con antibiotici tradizionali. Inoltre l' M4284 è uno zucchero che non può essere utilizzato dal nostro corpo, quindi non ci sarà da preoccuparsi per le calorie o aumento di peso.

 Bibliografia:

 Caitlin N. Spaulding, Roger D. Klein, Ségolène Ruer, Andrew L. Kau, Henry L. Schreiber IV, Zachary T. Cusumano, Karen W. Dodson, Jerome S. Pinkner, Daved H. Fremont1, James W. Janetka, Han Remaut, Jeffrey I. Gordon & Scott J. Hultgren. Selective depletion of uropathogenic E. coli from the gut by a FimH antagonist. Nature, 2017: 546.

LIT.COM.02.2018.3343

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